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Bisagno, quanti problemi (il parere del Geologo)

Bisagno, quanti problemi! (il parere del geologo)

Martino Terrone (testi) – Paolo Rossi (foto lavori contestuali al rifacimento del secondo lotto)

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Quando Paolo mi telefonò la scorsa settimana, mi chiese di scrivere un articolo che parlasse dei lavori di rifacimento del II lotto del torrente Bisagno1, in relazione alle foto che aveva scattato.
Devo ironicamente ringraziarlo perché è un argomento assai spinoso, sul quale è facile cadere in fraintendimenti o gravi omissioni e banalità dal punto di vista tecnico.

Mi spiego meglio.
Da sempre, ma in particolare dopo gli eventi alluvionali 2011 e 2014, nella popolazione genovese è nato un parere chiaro su come, dove e in quali tempi si dovessero realizzare i lavori sopra citati.
-Chi è a favore dello scopertura del Bisagno, nell’intento di ripristinare la fisionomia che il torrente aveva prima dell’epoca fascista.
-Chi pensa ad un abbassamento del letto mediante asportazione del sedimento
-Chi spera in una sopra-elevazione degli argini
-Chi, individuata la responsabilità nella vegetazione riparia, suggerisce di rimuovere i tronchi e di estirpare l’erba.
Tutto giusto.

L’unica obiezione è questa: si pensa che siano soluzioni definitive e specifiche?
Così come esiste fra i geologi una massima (che in questo contesto faccio mia): il mestiere delle montagne è franare, al contempo è estremamente importante stabilire una certezza: gli eventi alluvionali si ripresenteranno con più frequenza e più violenza.

Da questo assioma partiamo.
Questo articolo non ha la pretesa di imporre una soluzione definitiva, ma di fornire alcuni spunti. Fra questi spero che ve ne siano alcuni inediti o poco conosciuti.

Partiamo dal tema principale: asportazione del sedimento e rimozione della flora riparia.
L’idea alla base di questa soluzione è quella di togliere materiale dal fiume nel tratto antecedente la copertura del Bisagno consentendo un abbassamento del letto e quindi un aumento della sezione idraulica, ovvero “la porta” dove passa il flusso d’acqua.
Secondo un breve ragionamento, se aumento lo sfogo del Bisagno, esso avrà molte meno probabilità di esondare.
Tuttavia è necessario considerare il corso d’acqua come un sistema naturale che cerca sempre il suo equilibrio: si potrebbe anche sostenere il mestiere dei fiumi è crearsi spazio.
Occorre una profonda e specifica conoscenza di questo sistema, perché ogni torrente si differenzia dall’altro in funzione del proprio profilo di equilibrio2.
Con questo termine si intende la capacità di erosione e deposizione del sedimento su tutta l’asta fluviale: è la sua impronta digitale.
Maggiore è la massa che viene tolta, maggiore sarà l’attività del corso d’acqua per ripristinarla.
Per riequilibrarsi porterà a valle ancora più sedimento in virtù dell’incremento (artificiale) di pendenza

Aggiungo anche una complicazione. Come ci ricordava il Dott. Stefano Brighenti, le piante hanno un effetto frenante, parimenti lo è il sedimento. Anche nei confronti di se stesso.
Esiste un fenomeno definito corazzamento3: le granulometrie più grossolane (ciottoli) possono in alveo depositarsi e stratificarsi sulle ghiaie e le sabbie, creando appunto una corazza (armour in inglese), che le protegge dal dilavamento delle acque.
Se questo strato viene rimosso, è ovvio che il processo di erosione-deposizione aumenta perché una maggiore quantità di sabbia e ghiaia verrà asportata.

Ora, se compariamo il Bisagno –torrente- con il Magra4 –fiume- ci accorgiamo dell’abisso fra una condizione idraulica di canale e un ambiente naturale dove alterazioni ecologiche possono determinare effettivamente cambiamenti a livello di deposizione nel breve-medio periodo, tanto più che il lavori del II lotto a Genova sono limitati ed agiscono su un tratto quasi totalmente urbanizzato.

Allora se esiste questa differenza, possiamo stare tranquilli oppure è sbagliato il dragaggio del greto?
In linea di massima è corretta come operazione. Ma non bisogna eccedere nell’altro senso: una escavazione troppo repentina oggi, comprometterebbe la dinamica deposizionale futura in un già delicato contesto.

È tanto vero questo discorso, però, se corroborato con una buona dose di senso pratico, e cioè la necessità di rimuovere con una cadenza annuale sia i sedimenti che gli sfalci o tronchi, ma soprattutto i rifiuti domestici accumulati nel corso degli anni e le carcasse (ebbene sì!) di auto trasportate dalle alluvioni passate.
In poche parole: manutenzione continua, mobilitando piccole quantità.
Ciò garantisce la pulizia, la sicurezza e l’ammortamento dei costi.

Ma anche questo non è sufficiente.
Per capire la specificità di un corso d’acqua, è necessario agire anche sulle parti del Bisagno rimaste ancora “inalterate” dall’urbanizzazione.
Si deve guardare a monte, nei quartieri di Quezzi, Staglieno, Molassana, Prato, Davagna, fin dove nasce il nostro torrente.
Ragionare a scala di Bacino
I lavori di mitigazione del rischio geo-idrologico dovrebbero essere dimensionati in sua funzione.
Uso il condizionale perché attualmente i lavori sono troppo frammentari e a compartimenti stagni.
Essi mancano di una visione di insieme, così come contemplata dai Piani di Bacino, spesso disattesi o dilazionati nel tempo.

Cito il caso emblematico di Prato Casarile5 (o Prati Casalini) nel quartiere di Molassana, ( vi sfido se ne avete già sentito parlare: nessuno media recentemente se ne è occupato, tranne un articoletto6 del 2005)
Questa spianata erbosa vicino al Torrente Geirato (affluente del Bisagno), non è altro che un pianoro di 45˙000 m3 facente parte di una paleofrana molto più grande (circa 10˙000˙000 m3).
La particolarità è che Prato Casarile diventa un lago di sbarramento quando piove intensamente
In altri termini è una diga che trattiene l’acqua. In futuro questa paleofrana, con eventi simili al 2011/14, si potrebbe riattivare e il suo franamento riversare un’onda spaventosa simile ad un piccolo Vajont. Già nel 1970 ci furono porzioni che cedettero e proprio per questo si rimediò attraverso dei muri di contenimento che allo stato attuale non sono quasi più in esercizio.

A parte questo esempio eclatante, la causa maggiore del nostro rischio geo-idrologico è rappresentato dai piccoli e numerosissimi abusi edilizi incontrollati.
La coalescenza dei quali io definisco “ Piccola Speculazione Edilizia”
A differenza della sorella maggiore, realizzata a partire dagli anni ’60, essa è occulta e parcellizzata a tal punto da sfuggire al catasto o a qualsiasi banca dati.
Gli alvei deviati, i rii tombati, i muri eretti hanno reso il suolo ancor più impermeabile di quello che la cementificazione selvaggia del “Boom Economico” aveva compiuto.
Con l’aggravante che è stata realizzata in tempi in cui la normativa ambientale era già esistente.
La somma dei suoi effetti crea degli scenari del tutto imprevedibili, perché in mancanza di dati reali, ogni modello a scala di bacino è falsato.

Quando si parla di cementificazione la soluzione è molto complicata e non risiede di certo nell’abbattere tout-court i palazzi.
Sarebbe, nel breve termine, stanziare invece i soldi per una manutenzione del territorio più efficace, (si veda gli esempi di Prato Casarile, i torrenti Geirato, Veilino, Ferreggiano, la parte alta dello stesso Bisagno) far rispettare la normativa d’attuazione dei Piani di Bacino e quella contenuta nel nuovo Piano Urbanistico Comunale 2015, il quale prevede, tra l’altro, di garantire una permeabilità del proprio appezzamento di terreno pari al 70%
Nel lungo periodo, forse, sarebbe opportuno che la classe politica di concerto con la parte tecnica proponesse un piano cinquantennale di demolizione, intervenendo dapprima sulle case sfitte e organizzando una ricostruzione più razionale per il nostro territorio.
Sorvolando su valutazioni appassionanti e di ampio respiro, eccessive per un articolo così breve, si possono suggerire alcune buone norme che il cittadino dovrebbe compiere per la propria incolumità e quella dei propri beni.
Bisognerebbe rendere obbligatoria la certificazione del rischio idrogeologico nei codici identificativi degli edifici (la carta di identità di un palazzo), da questo documento discenderebbe tutta una serie di obbligazioni: isolare cantine, bloccare porte secondarie, piombare grate qualora si trovino al di sotto del battente d’acqua.
Attivare, cioè, tutta una serie di azioni che evitano la propagazione dell’acqua in punti che altrimenti non si sarebbero allagati.

In molte documentazioni- video7 sulle alluvioni del 2011/14 (e ricorderei anche quella di Sestri Ponente nel 2010), l’esondazione ha letteralmente bypassato gli ostacoli, entrando da una porta ed uscendo dal retro.
Comportamenti più noti ma altamente pericolosi sono infine quelli che riguardano la popolazione durante l’evento alluvionale, uno fra tutti il rituale del motorino o dell’auto spostata e parcheggiata altrove quando il livello dell’acqua arriva all’altezza del ginocchio.
Da parte del Comune, invece si auspicherebbe che nelle zone inondabili entro le 24h dall’evento si decidesse di vietare il posteggio. Divieto che non per obbligo, ma per senso civico, deve essere rispettato.

Tutto ciò è parte di una procedura di mitigazione del rischio chiamata accettazione8 (acceptance ).
Si badi che non è un atteggiamento fatalista e passivo, ma una vera disciplina e se automatizzata dalla popolazione ne garantisce l’incolumità fisica

In conclusione, ho elencato aspetti eterogenei che a mio avviso devono essere presi in considerazione quando si parla di un sistema naturale così complesso come un bacino idrografico
Liquidare il problema risolvendolo con la sola rimozione della vegetazione e del sedimento, è un lavoro fatto a metà.
È di primaria importanza che tutti i tecnici che lavorano a scala di bacino, si concentrino sulla specificità di un corso d’acqua ed evitino invece le teorie acritiche delle proprie scuole di pensiero.
Sempre più spesso infatti, a proposito della vegetazione riparia, si scontra la fazione degli “ambientalisti” con quella degli “idraulici”, gli “ecologisti” con i “dinamici fluviali”.
Il riverbero di questa contrapposizione, si riflette poi anche in fase decisionale.

Auspico quindi e rilancio attraverso il sito di Paolo, il ruolo del divulgatore scientifico.
La popolazione genovese, ritengo, è ormai preparata, e, pur nella frammentarietà delle informazioni, conosce i particolari.
Il salto di qualità si realizza mettendo assieme le conoscenze dei tecnici e il senso pratico delle persone, utile strumento per risolvere in maniera precisa un problema specifico.

Martino Terrone, Geologia Senza Frontiere ONLUS

martino@gsf.it

 

Documentazioni e Link

1) http://www.cantierebisagno.it/
2) http://nuke.a21fiumi.eu/LinkClick.aspx?fileticket=wOPdLPB0WHQ%3D&tabid=66&mid=423
3)http://www.adbpo.it/download/SAFE%20II%20GIORNATA/PRESENTAZIONI/Prof.%20Armando%20Brath%20(DISTART%20Bologna).pdf pg 6

4)http://iltirreno.gelocal.it/massa/cronaca/2014/01/16/news/abbassare-il-letto-del-fiume-idea-da-bar-1.8481193

5) Brancucci G. Paliaga G. (2008) “La geodiversità della Liguria come risorsa per il riequilibrio costa-entroterra”. In Calcagno Maniglio A. (a cura di) “Paesaggio costiero, sviluppo turismo sostenibile”. ISBN 978-88-492-1618-9, Gangemi Ed., pp. 125-134

5) Brancucci G. & Marini M. (1989) – Nuovi dati e considerazioni sulla “Paleofrana di Prato Casarile (Val Bisagno- Genova).” Mem. Acc. Lunig. “G. Cappellini” , Vol LVII-LVIII, Scienze Mat., Fis. Naturali , pp. 135-146

6)http://www.meteogiornale.it/notizia/4260-7-35-anni-dopo-la-grande-alluvione-dimenticata-genova-1970

7)https://www.youtube.com/watch?v=6tvC04Y5uXQ

8) http://www.geoplanning.it/test/wpcontent/uploads/2012/02/Linee_Guida_stabilizzazione_frane.pdf pg 181

9)http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2015/10/19/ARxZOLNG-bisagno_parcheggio_sindaco.shtml minuto 2:39

distruzione biodiversità bisagno GE

Prevenire le alluvioni e salvaguardare i fiumi (il parere del Naturalista)

Foto di Paolo Rossi – Fotografo prossifoto@gmail.com

Testo di Stefano Brighenti – Naturalista (Laureato in Scienze Naturali)

stefano.brighenti85@gmail.com

 

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La prevenzione del rischio idrogeologico può essere affrontata secondo due visioni. La prima comporta l’urbanizzazione selvaggia con la conseguente creazione del rischio e la sua successiva, necessaria se si vuole proteggere la pubblica incolumità, mitigazione tramite la costruzione di opere di regimazione idraulica (argini, plateazioni, tombinature come quella del Ferregiano, sbarramenti, etc.). Purtroppo tali infrastrutture si rivelano spesso inefficaci (vedi le ultime alluvioni del Bisagno) e danno la falsa illusione che costruire all’interno dell’alveo di un fiume possa essere saggio e sicuro. Lo schema è il seguente: l’urbanizzazione selvaggia e indiscriminata del territorio comporta un’ eccessiva impermeabilizzazione del suolo. Il terreno non può più filtrare in maniera efficace l’acqua piovana, la quale conseguentemente viene quasi totalmente convogliata repentinamente verso valle. Il tempo di corrivazione (quello che impiega ciascuna goccia di pioggia ad arrivare dai versanti al mare) si riduce in maniera esponenziale. “Troppa acqua tutta insieme” viene dunque incanalata verso il fiume il quale, ridotto sostanzialmente a un tubo di cemento a causa dell’uomo, si ingrossa con il rischio di straripare distruggendo con la sua furia distruttrice tutto ciò che incontra. La velocità della corrente è elevatissima perché la vegetazione riparia precedentemente estirpata per lasciare spazio ai nuovi quartieri accanto al fiume non può più attenuare il flusso dell’acqua e l’attrito che la scabrezza dell’alveo avrebbe potuto esercitare è ridotta quasi a zero dalle rettificazioni e dalle arginature: l’acqua non ha freni e, soprattutto, presenta una forza distruttrice centinaia di volte maggiore rispetto a quella che avrebbe in condizioni naturali! Se a questo si aggiunge la presenza di edifici e infrastrutture all’interno di quello che una volta era l’alveo del fiume (l’area all’interno della quale il corso d’acqua divaga alternando fasi di magra e di piena) la situazione diventa ancora più rischiosa. Aggravata dal fatto che le opere di regimazione sono spesso sottostimate, in un contesto ambientale in peggioramento, in cui la cementificazione del territorio (che aumenta la quantità di acqua che tutta insieme fluisce a fondovalle) è sempre maggiore e i cambiamenti climatici stanno comportando sempre più l’aumento in frequenza e in intensità dei fenomeni estremi (compresi i nubifragi).

Tuttavia esiste un secondo approccio, sicuramente più virtuoso, secondo il quale il rischio va affrontato non tramite cure palliative, caratteristiche di un ciclo vizioso che potremmo definire cemento-distruzione-cemento, bensì con la prevenzione. Anzitutto ponendo freno a un’urbanizzazione selvaggia consentita da piani regolatori scellerati e criminosi che, come si è visto, ha come effetto finale il convogliamento verso valle di troppa acqua in troppo poco tempo. Lasciando una sufficiente quota di versante in condizioni naturali o semi-naturali si può infatti consentire al suolo, ai boschi e alle coltivazioni l’intercettamento dell’acqua e il suo trattenimento nel terreno, con una graduale restituzione di parte dell’acqua piovuta sul lungo periodo (il che, peraltro, rappresenta anche una strategia di prevenzione della siccità nei periodi secchi). Inoltre, (sembra banale e facile da capire ma a quanto pare non lo è per molti) bisognerebbe evitare di costruire all’interno dell’alveo! Il fiume è infatti un sistema dinamico che vede l’alternarsi di fasi di piena e di magra, secondo oscillazioni anche ultradecennali. Lasciare al torrente la possibilità di espandersi durante le piene ordinarie e straordinarie comporta durante questi eventi la riduzione della velocità della corrente nelle zone esterne, anche per effetto della presenza della vegetazione riparia. Questa infatti svolge un ruolo chiave, non solo nella purificazione dell’acqua, ma anche nella riduzione della sua velocità tramite l’attrito, esercitato anche dalle imperfezioni dell’alveo come la presenza di grossi massi: sono tutti ostacoli che riducono la velocità della corrente rendendo meno devastante la sua potenza distruttrice. La diversità dell’ambiente è fondamentale anche perché favorisce la biodiversità. Infatti in alveo le infinite specializzazioni che i differenti organismi hanno rispetto alla corrente e al tipo di fondale comporta il loro stabilirsi solo se le condizioni dell’habitat lo consentono. Inoltre la zona riparia integra, oltre a rappresentare un rifugio per i pesci durante le piene, può ospitare una grande varietà di organismi tra i quali anfibi, rettili, mammiferi e uccelli che dipendono dal fiume per l’alimentazione e i ritmi biologici.

Anche secondo la Commissione Europea l’estirpazione della vegetazione riparia, le canalizzazioni, la cementificazione del territorio e degli alvei sono inadeguate per una corretta governance delle risorse idriche, che come tutte le risorse naturali (Millenium Ecosystem Assessment, 2005) sono fonte per l’uomo di servizi esosistemici (depurazione, approvigionamento, difesa idraulica e idrogeologica, etc.) che possono essere preservati unicamente garantendo l’integrità ambientale. Tale approccio è stato recepito anche in Italia con la recente approvazione del Collegato Ambientale (“Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”).

Secondo l’IPCC nel contesto storico in cui viviamo i mutamenti climatici stanno determinando l’incremento del rischio idrogeologico (attraverso la regressione dei ghiacciai e del permafrost, l’aumento di frequenza e intensità degli eventi atmosferici estremi, etc.). L’adattamento al Global Change è una priorità a livello comunitario e nazionale e risulta chiaro che l’approccio adottato finora con le politiche di gestione del territorio non sia adatto ad affrontare questa importante sfida. Se si considera che solo in Italia nel 2014 (ISPRA) i soldi spesi per le emergenze sono 7 volte maggiori rispetto a quelli spesi in opere di prevenzione, è evidente che il nostro rapporto con l’ambiente non è sostenibile sul lungo periodo.

Sempre più numerose realtà nel Mondo e in Europa stanno seguendo le indicazioni della Commissione Europea (si veda il sito ufficiale www.nwrm.eu). Alcune scelte possono risultare impopolari, come ad esempio la delocalizzazione dei quartieri costruiti in zona perifluviale o piani urbanistici oculati che, inibendo la costruzione di nuove case, sono accusati di rallentare l’economia (forse su cosa si debba basare la nostra economia non ce lo chiediamo mai!). Altre scelte invece, come la rinaturalizzazione dei fiumi e la creazione di zone verdi, sono meglio accolte dalla popolazione perchè è ben evidente l’impatto positivo sul benessere della città e dei suoi abitanti. Che siano maturi i tempi per portare anche nella nostra vituperata e amata città questi temi? Perchè non affrontare finalmente un serio dibattito sul benessere del nostro territorio? 

 

Foto di Paolo Rossi – Fotografo prossifoto@gmail.com

Testo di Stefano Brighenti – Naturalista (Laureato in Scienze Naturali)

stefano.brighenti85@gmail.com